La zucchificazione

di Paolo Greci

La manovra è reale, il paese anche. Questo è il primo risultato sensibile dell’esecutivo Monti a tre settimane dal giorno delle pistole fumanti. Della manovra in sé – per la quale rimando all’articolo del Verruti – già si è detto molto e tanto ancora si dirà. Quanto agli effetti della manovra, ve ne sono di lampanti e interessanti sul piano non solo delle lettere da scrivere a Babbo Natale ma anche su quello delle previsioni politiche per il futuro.

Da un lato, in uno degli atti economici più strategici che si siano mai visti nell’ultimo decennio, ecco che i sindacati si uniscono, i partiti trasversalmente condannano gli aumenti delle tasse mirati al loro corpus elettorale definito con formula brillante “I soliti noti” (digerendo il maggiore gettito solo per paventato senso di responsabilità nazionale) e gli italiani di ogni fascia sociale propongono contro-soluzioni per non far pesare il tutto sulle spalle dei più deboli. Situazione interessante dal punto di vista della coesione in questi giorni dove la parola “Occupy” è un prestito sempre più prolifico nella creazione di formule da battaglia sociale.

Dall’altro il premier Monti e il suo esecutivo iniziano la loro opera apostolica di spiegazione della manovra, tatticamente ineccepibile nell’obiettivo di calmare e rassicurare i mercati e l’Eurozona, particolarmente fibrillanti specie in questi ultimi giorni autunnali del Belgio. Il varo delle nuove misure economiche haavuto il discreto esito di rendere più affabile Elsa Fornero – delle cui lacrime evidentemente non riusciremo più a dimenticarci – e meno taciturno Mario Monti, esibitosi in operazioni di glossa di fronte ad un Bruno Vespa sempre più straniante nel ruolo di macchietta di se stesso ma che, perlomeno, riguadagna credito e credibilità in vista dell’arrivo dei prossimi ospiti (situazione curiosa vista la scelta della Rai di non trasmettere la conferenza stampa post-approvazione manovra da parte del Consiglio dei Ministri).

Un terzo esito, al momento in fieri, è che anche il nostro premier sta diventando reale. Gli si chiedeva, apparentemente, di non diventare un politico: sia i cittadini stanchi che i politici consumati gli chiedevano di rimanere au-dessus de la mêlée. Ma forse, parallela, correva da parte dei partiti che gli garantiscono questa maggioranza record una richiesta sotterranea diversa, quando non opposta: che il suo esecutivo diventasse una sorta di quarto polo, utile grimaldello in vista delle elezioni previste al più tardi per il 2013. Monti, non uno stolto, sa che a far politica si diventa politici e che si subiscono le responsabilità politiche, specie quando c’è di mezzo il tanto amato popolo. Esporsi dunque diventa decisivo e fissare un elettorato lo diventa altrettanto. Ed è, aspetto non secondario, l’unico metodo per sanare quel mismatch, quel grosso malinteso tra il reale Mario Monti e la figura del Monti creata dalla carta stampata, il disegno di una vergine da palcoscenico che va protetta dalla tentazione. Citare la saggezza della mamma – per tutti figura di grande risparmiatrice in periodi di crisi sempre utili per rinsaldare i valori fondamentali – è un ottimo passo per convincere un elettorato riottoso ma sensibile al lessico moralizzante. Ma è anche un importante passo verso la zucchificazione, la riduzione del tecnico al partitico, con conseguente perdita dell’aura: quando i cittadini realizzeranno ciò l’effetto Monti – la fiducia quasi incondizionata in lui ricevuta in virtù dello stato di necessità proveniente da Eurolandia – sarà svanito e non più rimediabile.